LavoroL'idea di scrivere queste righe mi e' venuta lo scorso 25 aprile, dopo aver visto al CSP Io, Daniel Blake di Ken Loach. E' un film da vedere dove si parla della mancanza di lavoro e del rapporto inumano tra cittadini e welfare (sic!) state in questi tempi di crisi, dove l'unica cosa che sembra poter salvare l'umanita' e' la solidarieta'. Complice di questa voglia anche la lettura del saggio di Serge Latouche La scommessa della decrescita (Feltrinelli 2009), un saggio scritto spesso in modo spesso complicato, ma che soprattutto non lascia spazio (almeno a 2/3 di lettura) a molte speranze. Una volta dicevo che per uscire dalla crisi qualcosa doveva cambiare, non sapevo cosa (seppure avessi delle preferenze) ma tutto non poteva rimanere uguale: beh, come diceva il principe di Salina, tutto e' cambiato affinche' nulla mutasse. La crisi economica, che dura oramai da 15 anni, ha acuito le differenze tra ricchi (sempre meno) e il resto della popolazione. Quello che e' terribile, dal punto di vista di un ultrasessantenne, e' che mi sembra che la mia generazione ha dimenticato di trasmettere alle nuove generazioni l'onore del lavoro produttivo, l'onore del fare con le proprie mani. Vorrei essere chiaro: l'errore e' della mia generazione. Il sor Andrea, il mio vicino di casa che 57 anni fa mi insegno a giocare col Lego (ora va per i 101 anni), passando sotto al Gemelli (di cui negli anni '60 era stato un capocantiere) o vicino a Via della conciliazione, mi diceva, Vedi quello? Quello l'ho fatto io. A quanti giovani lavoratori e' oggi concesso di dire qualcosa del genere con la stessa soddisfazione? Mentre i media ci incitano a consumare sempre di piu', milioni di affamati cercano di raggiungere la loro terra dei sogni dalla loro terra di incubo a causa della guerre, mancanza di acqua, cibo o qualsiasi cosa servirebbe loro. Neo-nazisti (come definirli altrimenti?) pensano a costruire muri, senza rendersi conto che e' solo una questione di tempo: gia' nella storia in passato si sono verificate migrazioni del genere, e nulla le ha fermate. |
WorkThe idea to write these lines comes after vieweing at CSP last april 25th (italian liberation day) I, Daniel Blake by Ken Loach. It is a movie to see, about the lack of work and the un-human deal between citizens and welfare (sic!) state in these time of crysis, where the solidarity seems to be the only thing able to save humanity of mankind. This idea probably comes also from reading of the book of Serge latouche Farewell to growth (Polity press, 2009), an essay often written in complicated way, that (at 2/3 of reading) left no space to great hopes. Once I used to say that to come out from the crysis something should have change, I did not know what (despite I have some preferences), but all could not remains the same: well, as Gattopardo's prince of Salina said, everything changed to mantain all the same. The economic crysis, lasting now 15 years, increases the differences between rich (always less) and the rest of population. What is terrible, from the point of view of 60+ years man, is that it seems that my generation missed to forward to the new generations the honour of productive work, the honour of making, to do with their own hands. Please let me be clear: the mistake is of my generation. Mr Andrea, my neighbour that 57 years ago teach me to play with Lego (now he's 101 years old), passing near Gemelli hospital (where in 60ies he was a foreman) or near Via della Conciliazione, used to tell me, proud, You see that? I made it!. How many young workers can today proudly tell something alike? While the media teach us to consume always more, millions of hungry people are coming in their dreamland from their nightmare-land for war, lack of water, food or whatever they need. Neo-nazists (how differently can we call them?) think to built walls, not understanding that is only a question of time: already in the past we can find migrations like these, and nothing stopped them. |